N O N C'E' M A I U N U L T I M O T R E N O
Sublime frontiera

Si parte
Strana cosa, la vita: noi non la capiamo, ma essa ci prende per mano e ci conduce dove vuole lei. Noi, forse, per quegli scoscesi sentieri non ci saremmo mai avventurati, se non per un impulso un po’ folle: dando ascolto a una di quelle voci che sussurrano a volte seducenti, a volte imperiose, con tono suadente e musicale all’ orecchio, spingendoci a cercare, a spingerci un po’ più in là dei nostri limiti; a mordere la mela proibita del chissà dove, chissà quando, chissà che….
Alzandoci d’impulso dal comodo divano dell’abitudine ci slanciamo fuori di casa, senza magari neanche afferrare la giacca, e senza sapere dove stiamo andando. Ed è così che iniziano i romanzi di avventura, che di solito riservano al protagonista un discreto numero di rogne, ma anche soluzioni geniali che gli consentono sempre di portare a casa la pellaccia.
E, spesse volte, di sbarcare in quel chissà dove, chissà quando, chissà che.
​

Alle porte del silenzio

Sono Simon Smeraldo, scrittore. Vi accompagnerò in un viaggio di scoperta: scoperta di sè, principalmente, perchè il sè è il più grande tesoro che ognuno possieda.
Sul frontone del tempio di Delfi, nell'antica Grecia, campeggiava la scritta: "Uomo, conosci te stesso, e conoscerai l'universo".
Ebbene, quelle parole sono valide ancor oggi per noi moderni, figli di un'era spoetizzata e globalizzante.
Ho dedicato tutti i miei testi a questa scoperta, e di seguito ve ne presento qualcuno.
E se ogni tanto farò un po' il clown...bè, anche questo fa parte del viaggio, o perlomeno lo rende più simpatico...
D'altronde, meglio non prendersi troppo sul serio, non è così?
Buon viaggio!
Vago
su luccicori di pioggia,
su lame spuntate di sole,
sullo scroscio di luna
che mi porta lontano
mentre io sto qua,
a rintuzzare i venti
di foglie disperse,
a raccogliere briciole
di sguardi
di un mondo veloce,
mentre io
io voglio star qua
a stanare i ricordi,
e bruciarli felice
sull’ara del dio
a cui dedico tutto.
E chiudo la porta
dietro ai miei passi,
perché io lo so bene
che di qua non ritorno:
avvolto nell’ombra
di strade a me ignote
imbocco respiri
sperduti di nebbia,
cavalcando le onde,
le rapide onde
di una musica strana
che scompiglia
vibrante
i capelli e la mente
per dirmi che io
io devo star qua
a guardarmi allo specchio
per scovare le stelle
nascoste qui dentro
​


Il briccone cosmico
Tra le nebbie che avvolgono la nostra esistenza, che assolutamente non comprendiamo, si nascondono i misteri dell’universo, che fanno capolino qua e là: li scopriamo a spiarci dietro un angolo di coscienza, ci vengono rivelati in un lampo di intuizione, ci indirizzano ragionamenti pianamente comprensibili da qualche libro, qualche film, qualche conversazione colta di sfuggita. Eppure, per la maggior parte del tempo, essi ci conducono nel percorso labirintico, costellato più che altro di punti interrogativi, che ogni essere umano che si fa domande sul senso della vita deve obbligatoriamente percorrere, senza necessariamente capirci qualcosa, molto meno venirne a capo. E’ come se l’universo stesso dicesse a queste persone – fra cui mi annovero anch’io - non senza una certa dose di sarcasmo: hai voluto la bicicletta, ora pedala.
Forse colui che più si fece coinvolgere in questa folle ricerca fu Charles Fort, il quale rilevava migliaia di fenomeni bizzarri e totalmente inspiegabili che però si verificavano con una frequenza impressionante e puntualmente venivano registrati su quotidiani e perfino riviste scientifiche, senza che con tutto ciò se ne ricavasse una spiegazione plausibile. Jung ci fece partecipi del concetto di sincronicità, e del fatto che c’è qualche briccone cosmico, come lo chiamava lui, che si diverte a farci capitare su quelle linee della vita dove le più assurde e impensabili coincidenze trovano impreparata la mente ad afferrare i meccanismi che le innescano.
C’è, sostiene lo stesso Jung, una corrispondenza fenomenale fra alcuni nostri stati d’animo e gli eventi che ci colgono così spesso di sorpresa, e sembra che sia la nostra coscienza stessa, secondo questa teoria che trovo parecchio sensata, a predisporre gli eventi più inaspettati ma che vengono in un certo qual modo anticipati dai più ordinari indizi, che al momento siamo impossibilitati a decifrare ma che sommandosi come in un puzzle rivelano uno sbalorditivo dispiegarsi di fatti tutti collegati l’uno all’altro senza che al momento sia possibile individuarne una connessione.
Però ci dev’essere qualche altro fattore o elemento che fa “da sponda”, per così dire, all’emissione psichica impostata dalla nostra coscienza. E’ appunto, il famigerato “briccone cosmico” in alcune culture chiamato trickster, ossia uno che ti gioca dei tiri, più o meno di buon gusto – spesso assai poco – figura che pare essere riconducibile a quella del dio Hermes della mitologia greca, ingannatore per eccellenza.
Ma cosa vuole da noi questo briccone? E’ possibile che il suo ruolo si esaurisca nel prenderci in giro, o, nel caso delle coincidenze significative, la cosiddetta “sincronicità” darci indicazioni sul nostro stato interiore e fornirci, mediante essa, la chiave che ci spalanca immensi corridoi in cui ci aspettano risposte importanti per la nostra vita? Oppure semplicemente ricordarci che tutto quanto è collegato in una fitta ragnatela di corrispondenze che ci lasciano senza fiato nel riscontrarne le imprevedibili dinamiche? O, ancora, evidenziare alla nostra mente stupita che siamo molto più partecipi della creazione degli eventi di quanto pensiamo?
E’ impossibile stabilire con esattezza quali siano le intenzioni che animano questo fantomatico essere, e che ruolo ricopra nell’economia dell’universo; certamente non si tratta nemmeno di un’entità di qualche tipo specificamente circostanziata o necessariamente individualizzata, quanto piuttosto un archetipo, un modello di realtà universale. Egli ci inganna ma al tempo stesso ci fornisce preziosi indizi sulle potenzialità occulte della nostra coscienza, della sua capacità di creare situazioni che si estrinsecano mediante un’architettura barocca della mente, con i suoi risvolti e ghirigori, le sue volute e i suoi arabeschi. Lo fa apposta? O si tratta di un ruolo a cui è vincolato indissolubilmente nell’ambito cosmico e da cui non può affrancarsi?
Quel che è certo è che nella tetra barriera di banalità e insignificanza che purtroppo si erge, generalmente, attorno all’esistenza degli esseri umani, ogni tanto si apre uno spiraglio attraverso il quale ci è dato di infilarci per sfuggire a tale scialba e ottusa ripetitività e raggiungere lo splendore delle stelle; e che quella è la nostra vera dimensione, occultata sia dalla condizione ovattata della coscienza individuale sia dai segnali caotici e mirati che i veri padroni del mondo, da dietro le quinte del mondo visibile, impongono all’umanità in quanto specie.
Il briccone cosmico, come il Matto dei Tarocchi, ci insegna, con le sue buffonate, le sue acrobazie psichiche e le imprevedibili e imperscrutabili svolte a cui ci mette di fronte, che il loro potere sulla mente e sulla coscienza non è assoluto e totale, e che c’è una via di cui possiamo disporre, poiché ne siamo padroni.

Awakenings
Mi svegliai. Non c’era nessuno accanto a me. Tutt’attorno, a perdita d’occhio, una distesa piatta, brulla e desertica, senza nessun segno di vita.
M’incamminai. La direzione? Chi poteva mai saperlo! Non c’era né ci poteva essere una direzione. Il sole non aiutava, perché una spessa coltre di nuvole grigie si stendeva su tutto il cielo .
Quante ore, quanti giorni? Non so, la memoria sembrava che non fosse stata inserita nel mio programma.
Passai accanto a manichini decapitati privi di braccia, a colonne fissate a reggere il nulla; pelle di capre distese su tavoli rosicchiati dall’usura, giganteschi orologi senza lancette appiattiti sul volto della sabbia. Cattedrali di madreperla si sfaldavano lentamente al mio passaggio, mentre nudi e procaci corpi femminili apparivano d’improvviso nel cielo come fantasmi trasparenti, dissolvendosi altrettanto rapidamente. Barchette di carta navigavano su ruscelli di vetro e ruvidi marinai di cartapesta evocavano ectoplasmi di mari lontani. Dall’arco di distanti arcobaleni occhieggiavano creature mai viste: erano elfi, erano nani, erano gnomi, erano giganti infuriati, erano dolci fanciulle sperdute? Non saprei dare una risposta. Quel che so è che la solitudine continuava ad essere totale nonostante queste fugaci apparizioni di esseri, entità, oggetti che non esistevano. L’arsura veniva stranamente inframezzata da furiosi rovesci d’acqua che mi inzuppavano rovinando irrimediabilmente lo smoking che indossavo. Che avrebbe detto mia madre?
Però, un giorno o un anno che non so arrivai ai piedi di una catena montuosa avvistata azzurra da lontano. Eccomi là, sulle pendici, dove rigogliose crescevano le acacie, i tamarindi, i corbezzoli, gli oleandri, il mirto dalla saporosa fragranza, l’agave e l’aloe, la tenace ginestra, il profumato ginepro. Qua e là, timide creature della macchia fuggivano al mio passaggio: fagiani, lepri, arvicole, bisce variopinte.
Il vecchio mi aspettava lassù, al limitare della macchia; là dove il monte si inerpicava più in alto ancora, nella verde ombreggiata altura debordante di querce, faggi, carpini, ontani, pioppi, pini. Sui rami, scoiattoli si affaccendavano rapidi; fra l’erba furetti, daini e tassi.
“Tempo, tempo….non sapete pensare ad altro, non avete altro metro di misura? E se ti dicessi che il tempo non esiste?” Mi apostrofò bruscamente.
“Ormai non mi meraviglierebbe più nulla, nel mio attuale non-essere, in un evidente non-luogo.”
“Stai solo filosofando o cominciando a capire? O nemmeno tu cogli la differenza?”
“Ecco…di preciso non lo so. Da quando sono qui….o meglio da quando non sono più dove ero prima di svegliarmi - se mi sono poi svegliato - i contorni della mente si fanno più indefiniti.”
“La mente, la mente! Ma cos’è, il tuo dio?”
“Definisci dio”
“Sei anche spiritoso…ma va là, va là…siediti che ti faccio una piadina. Poi parleremo quando sarai più intelligente.”
Mi sedetti a un tavolino accanto al suo chioschetto. Lui vi sparì dentro e ne uscì un’istante dopo: recava su di un piatto una piadina fumante farcita con prosciutto crudo e fontina.
“Birra?” Mi chiese.
“No, gazzosa”
Mangiai con gusto in silenzio mentre lui si asciugava quelle sue manone sul grembiule tutto unto di grasso di balena. La piadina era buona. Bevvi d’un fiato: era un bel pezzo che non assaggiavo una gazzosa così, una settantina d’anni all’incirca. Il vecchio intanto aveva pensato bene di trasformarsi in una fatina dei boschi, molto carina per la verità.
“Avrà pensato che così mi facilita le cose” Riflettei.
Lei venne e mi baciò. Rimanemmo incollati per una decina di minuti buona, lavorando con fervore su quel bacio.
“Stai cominciando a capire? “ Mi chiese poi dolcemente, staccandosi dalla mia bocca.
Ero imbarazzato e sorpreso al tempo stesso: non succede mica tutti i giorni di baciare una fatina dei boschi!
Lei sorrideva: che dolcezza!
“Ti va di fare un bel bagno?” Mi chiese con quel tono irresistibile. D’un tratto, eravamo a Milano marittima. Vedendo la mia faccia un po’ disgustata, disse:
“Scusami….non ho ancora tanta esperienza del mestiere. Ma rimediamo subito!” Ed eccoci nella caletta di Pugnochiuso…o era capo Palinuro? Non so, non ricordo.
Ci immergemmo nell’acqua cristallina, lei più nuda che mai, io ancora in smoking. Sembrava un sogno….e lo era.
Però, quando nove mesi dopo nacque il nostro bambino, lo chiamammo Fato. E quel marmocchio mi ha dato un bel po' da fare!
P.S. Se avete capito questo racconto datemi un colpo di telefono così lo spiegate anche a me.
Simon
Recensioni letterarie
Il maestro e Margherita
Mikhail Bulgakov
Oscar Mondadori 2009
Scoppiettante romanzo dall'inconfondibile sapore caustico tipicamente russo.
La narrazione chiama in causa addirittura il Diavolo, ma un demonio in fin dei conti bonaccione, che fa dei danni solo ai solerti funzionari sovietici (siamo nella Russia staliniana) mentre aiuta un coppia "fuori dagli schemi" (lei,Margherita è una specie di streghetta; lui,un "maestro" implicitamente di arti esoteriche) a realizzare il proprio sogno d'amore.


Viva la Vida!
Non c'è un attimo di pausa in questa narrazione vertiginosa che va dalla satira spietata della stupidità e ottusità dei burocrati di regime alle vette della realizzazione personale, dell'affermarsi di un ideale che si eleva sopra la piattezza del contesto; che qui è quello sovietico, ma che in realtà si può facilmente estendere alla vita odierna, soprattutto alla società italiana, che produce ai suoi più "alti" livelli idiozia e ottusità (ma soprattutto corruzione, come ai tempi sovietici) a quintalate.
Un denuncia contro l'ideologia di sistema, ma soprattutto contro il conformismo di chi si adegua e si ripiega in una vita spenta, anonima, insignificante, mentre lo straordinario è proprio lì alla svolta dell'angolo.
All’atto della nascita si instaura fra Uomo e Mondo un’equazione speculare, un rapporto tale e quale quello di porsi davanti a uno specchio; così, nel sincronismo dei due cieli, il Cielo “esteriore” è espressione del Cielo interiore. Vale a dire che, nel senso in cui l’Universo, nella sua struttura, è concepibile quale un Tutto ma con aspetti variabili da luogo a luogo e da momento a momento, così la geometria dello Zodiaco, nell’ora relativa di nascita di un individuo e nel relativo luogo impone aspetti diversi alla “geometria” del tale individuo.Questo perché ciò che accade in un determinato momento e luogo ha caratteristiche proprie, come se gli aspetti e le “curvature” spazio-temporali di quel dato tempo e luogo restassero impresse su una pellicola.
Lei corre festosa
tra boschi e brughiere
si butta d’impulso
nei fiumi d’argento
intrepida sfida
le cime innevate
si stende sui prati
dagli umidi fiori
occhieggia all’imbocco
di antiche spelonche
si arrampica audace
su trecce di luna
ricolma lo spazio
fra nuvole e sogni
respira odorosa
le linfe dei campi
fa splendere ancora
i domini del cuore,
e grida “ci sono!”
ad un cielo stupito.
Rincorrila
la troverai
nello specchio
di un’altra mente;
e lì celebra assidua
ritorni e partenze
e umidi riti
che tramutano in luce.

Gli angeli cantarono alla mia nascita, ma io non c'entravo niente, perchè stavano cantando per qualcun altro, un certo Gesù, figlio (indirettamente—poi vi spiego) di Giuseppe e Maria - si dice, ma dopotutto, si sa che in questi casi solo la madre è certa. Comunque sia, visto il disagio che mi arrecavano le mie umili condizioni (all'asilo le maestre non mi facevano giocare con il pongo ma me lo tiravano in faccia),chiesi a mia madre non solo che cambiasse professione, ma di farmi nascere in un'epoca più adatta al mio genio nascituro. Non fu una bella idea, perchè mi trovai coinvolto nell'ammutinamento del Bounty dopo essere sfuggito alla dolorosa routine con cui quotidianamente si concludevano, sulla spiaggia, le partite di calcetto greci scapoli contro troiani ammogliati davanti alla fatidica città: alla fine tutti si buttavano in mare e si aveva un bagno di sangue.
Per cambiare aria decisi di trasferirmi in montagna, sul monte di Venere, dove mi trovai molto bene, felice e contento come in una fiaba delle sorelle Grimm; respirando atmosfere magiche e surreali in compagnia di Salvador Dalì, Madonna (quella vera) e Little Tony. Così le Tre Grazie mi ringraziarono (tre volte- una ciascuna) e per riconoscenza mi trasportarono a New York , dove conobbi una sirenetta sfuggita alla pesca a strascico. Quanto le piacevano i versi di Gino Paoli, che le recitavo quotidianamente - anche perchè adorava il sapore di sale. Poi fu richiamata in servizio, al bagno Nettuno sul lido di Ostia.
Feci un sono, poi mi svegliai per poi trovarmi, non so come – e non chiedetemelo nemmeno – nella foresta magica, dove mi ero trasformato in un elfo. Sì, qui nel bosco incantato della Terra di Mezzo la vita non è male, però sto ancora cercando un chirurgo plastico per ridurmi le orecchie. Ah, non c'è niente come l'esperienza! Dicono che è maestra di vita, ed è un bene, perchè io una maestra non l'ho mai avuta, non essendo mai andato a scuola.
Alla fine, laggiù, nel bosco fatato, mi sposai con una fatina che aveva una ottava di reggiseno: ero rimasto proprio colpito perché girandosi di scatto mi aveva scaraventato in faccia tutto quel po’ po’ di silicone, quindi non ero del tutto in me quando dovevo pronunciare il fatidico “sì”, e infatti mi uscì fuori “sì e no”. Il prete tirò fuori le rune per scoprire qual era la risposta giusta fra le due, ed io approfittai per darmela a gambe, finendo a Pompei appena prima dell’eruzione. Infatti Plinio il giovane era arrivato trafelato, correndo giù dalla cima del Vesuvio gridando che Plinio il vecchio era morto. Nessuno gli badò, giacchè quando si è vecchi morire non è una cosa tanto strana; solo il sindaco, un vero vanaglorioso, che indossava la fascia tricolore anche quando dormiva di notte (e sua moglie, infastidita, per ripicca gli faceva le corna con l’usciere del comune) , gli fece una multa per eccesso di velocità e disturbo della quiete pubblica, dopo di che entrambi furono sepolti dalla cenere e chi s’è visto s’è visto. Loro, mai più.
Io dovevo cercare altri lidi, visto che quello di Jesolo era troppo affollato, e così via, a tutta birra.
Non l’avessi mai detto! Mi ritrovai all’Oktober Fest, dove donnone e boccaloni fanno un tutt’uno, e lì conobbi la dolce Fraulein Auslander che mi prendeva in braccio e mi cantava la ninnananna a suon di schiaffoni se non bevevo almeno i quattro litri di birra che sono il minimo sindacale da quelle parti.
Urgeva filarsela: insomma, pensai, in questo mondo non c’è pace! Quo vado? A questo punto un lettore del pensiero mi propose un viaggio ultrastellare a soli 5.000.000 di euro. Mi rovesciai le tasche e gli chiesi se mi poteva fare uno sconticino di fine stagione, e si accontentò di cinque euro. Quando scopersi che era napoletano era troppo tardi, l’astronave era già partita.
Mi sedetti sconsolato su uno scoglio a Marechiaro pensando ai miei guai, quando sentii una voce dal mare: “Guai, guai a voi! Guai a voi, dico!” Era un predicatore itinerante che costeggiava e bordeggiava e civettava (con le bagnanti seminude) da una barchetta. Io feci due conti: con tutti i guai che già mi trovavo, qualche altro ancora e ci sarei sicuramente rimasto. Così decisi: Mors tua vita mea, e lo affondai seduta stante con un siluro preso a prestito da un sommergibile lì vicino rimasto temporaneamente incustodito, giacchè tutto l’equipaggio al completo si era recato ad assistere al miracolo di San Gennaro dopo aver immobilizzato il comandante che era contrario e non credeva ai miracoli – essendo milanese.
Quando ebbi notizia che il sangue non si era liquefatto, seppi che purtroppo altri guai stavano arrivando, e pensai: aveva ragione il predicatore. Ma ormai era tardi per cercare di ripescarlo dagli abissi marini e praticargli la respirazione bocca a bocca (meno male), perché un pescecane si contendeva già i suoi resti con un barracuda, mentre una foca monaca (era di Monza) faceva da arbitro fra i due.
Insomma, una gallina domani è meglio di un uovo oggi, così dicono, e bisogna portare pazienza. E così mi tuffai nel blu dipinto di blu e divenni pesce palla. La mia solita fortuna volle che incontrassi un pesce calciatore.
Ad maiora semper.
P.S. Tutto quel che c’è scritto più sopra è la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità, so help me God.
A parte qualche bugia, perché: la verità mi fa male lo so, e ti fa male, lo sai; quindi perché poi doversi rivolgere a un dottore?
I miei intenti
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Per tutto ciò che mi accade la mia responsabilità è totale
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Una soluzione esiste sempre e io posso trovarla
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Io divento ciò che comprendo col cuore aperto
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Più esprimo le mie potenzialità più divento libero
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Più ascolto il mio sè più divento impeccabile
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In ogni aspetto il mio agire nel mondo si perfeziona
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Per risplendere devo ardere con tutto ciò che sono
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Io posso originare il mio destino ultraterreno
Giorgio Sangiorgio
Hanno detto di me....
“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni; ma costui, in tutta evidenza, sfugge ampiamente a questa regola”
----Bill Shakespeare, “The Stratford-on-Avon Bulletin”, 17 Novembre 1589
“Cari amici, vorrei parlarvi di colui che più danni ha fatto per l’attività cerebrale della nostra generazione di chiunque altro: un gagliardo affabulatore afflitto dalla devastante sindrome di Peter Pan, delle cui nefaste implicazioni voi siete ben coscienti, come delle tremende ricadute psicologiche sul tessuto sociale odierno che ciò inevitabilmente comporta. Perciò vi metto in guardia un’ultima volta, anzi vi scongiuro: state lontani da “Come un mollusco agitato dal vento” se ci tenete alla vostra salute mentale”
---Professor Carl Gustav Jung, dagli atti di una conferenza a Locarno, marzo 1937
“Da un punto di vista rigorosamente scientifico, dovrei dire che questo scervellato costituisce un caso clinico del tutto eccezionale e senza precedenti; e quando, se mai succederà, potremo esaminare la sua testa si scoprirà che la sua scatola cranica non contiene assolutamente niente”
---Diego De la Plata Escasa, podologo, da “Avanguardia medica dell’Isonzo” rivista mensile, Corfù, 8 settembre 1943
“L’atrofizzazione della massa cerebrale non è un fenomeno sporadico, come invece si crede nell’opinione comune. La casistica clinica di questa condizione mentale, erroneamente ritenuta rara, è tutt’altro che scarsa, e offre anzi ampia documentazione, che ne suggerisce una diffusione in misura, che, pur non essendo quantificabile in termini assoluti, di certo non è contenuta quanto si potrebbe pensare. E’ d’uopo perciò isolare i casi più conclamati della sintomatologia da cui si evince tale condizione, per approfondirne lo studio nelle sue manifestazioni più palesemente riscontrabili e poter così approntare, in un futuro forse neanche troppo lontano, gli strumenti scientifici più idonei per la prevenzione di questa irreparabile condizione clinica. A questo scopo, a tutti i nostri studenti di medicina verrà sottoposto il testo “Come un mollusco agitato dal vento”, che costituisce un precedente di incomparabile valore scientifico e al tempo stesso un’opportunità adeguatamente praticabile per procedere a livello sanitario nel serrato programma di attuazione di tale prevenzione”
----Dott.ssa Alfonsina Fumagalli Pestalozzi Sbroccati, dalla rivista “Bistecche e segreti” edita dall’Associazione medica “Eulalia Torricelli da Forlì”, Aprile 1960
“Vi sono calamità naturali che per la loro assoluta imprevedibilità e la loro rovinosa distruttività venivano classificate dalle compagnie assicurative statunitensi – almeno fino a non troppo tempo fa - come “Atti di Dio”, consentendo loro, mediante questa sorta di escamotage, di evitare un astronomico esborso per coprire i danni; cosa che sarebbe stata catastrofica, per non dire letale, per i loro bilanci. Orbene, cosa dobbiamo fare noi, disarmati e nemmeno assicurati, davanti a questa calamità intellettuale che ci è capitata tra capo e collo, la pubblicazione di quell’infame libello dal titolo inopportuno “Come un mollusco agitato dal vento”? Infausto evento che in nessun modo possiamo registrare come “Atto di Dio” - semmai il contrario, poiché è del tutto evidente che qui Dio – o chi per lui- non c’entra assolutamente nulla, ma c’entra purtroppo un irresponsabile che si diverte a tormentare con la penna il disavveduto lettore che gli può occasionalmente cadere nelle grinfie. In linea con quanto detto prima non possiamo di certo invocare la giustizia divina né reclamare per costui l’ordalia del fuoco, anche se siamo certi che l’Inquisizione, ai suoi tempi, ne avrebbe fatto polpette. Interverrà il classico paladino giustiziere per porre fine a questo obnubilamento cerebrale? Non ci rimane che augurarcelo di tutto cuore, viste le poche alternative a nostra disposizione”
----Leopolda Zatterotti Passè, da “Lunario e stradario”, rivista di moda, Annecy, 22/2/22
e del mio testo di prossima (eventuale) pubblicazione

Caravaggio morente sulla spiaggia di Porto Palo in Sicilia
Ero là, bocconi sulla sabbia, a ingurgitare sciabolate di luce, strappi di buio; e i miei occhi...oh, i miei occhi....infuocati, brucianti, consumati di vita.
Quella vita che non mi apparteneva già più, se mai mi era appartenuta.
L’arsura, il freddo, la notte, il giorno.
Mari tempestosi sconvolgevano l’orizzonte, ma il litorale si stendeva placido allungando la vista con l’infinito blu che lo sovrastava. La pace, la pace immensa che cancellava l’incupirsi di ogni cielo, l’assurdo e interminabile svoltare di angoli di ogni mio labirinto; che attizzava la fioca luce dell’alba, fredda e indifferente alle mie sorti. Che avrò mai fatto, perché io?
Eppure, mi dicevano, eppure....tu dipingi la vita stessa, tu la fai conoscere a noi mortali, nella vertigine dell’essere che spoglia ogni travestimento, smaschera ogni impostura...il trionfo delle tue figure sulla tela è la nostra stessa vittoria; la testimonianza che viviamo, e che vivremo per sempre, perché la mente di quello stesso dio che si agita dentro di noi ci ha visti così: patetici ma saggi, sconfitti ma degni d’amore, bruti o eccelsi, santi o bricconi, sagaci o mentecatti; infinitamente stupidi perché infinitamente vivi; eterni, malgrado noi.
La mia gioia è la mia dannazione. E in fondo, due facce della stessa moneta. C‘è un prezzo per tutto: così dicono.
Ed ora, signori, io ho pagato. Sì: pagato, e per bene.
La luce, il buio. Il pieno, il vuoto.
Ora la mia stessa ombra, io la vedo, vaga fra i cimiteri dei morti viventi, ingombri delle ossa dei vivi già morti da sempre. Quell’ombra sembra braccarmi da vicino, mi incalza, mi sovrasta, mi pervade, mi ingolfa.
E allora, io....?
Un gioco, uno stupido gioco? Oppure una furfanteria della sorte? O, per meglio dire, o chiedere ( ma a chi? a chi non so ) la decisione di calcare questo palcoscenico ribaldo, da dove...da chi o cosa era scaturita?
Vagamente, comprendevo.
Comprendevo, per esempio, che la luce in verità stava ingoiando il mio buio, lo cancellava poco a poco. Ed ogni sferzata, ogni cazzotto preso, ogni ingiuria, ogni goccia di sudore, di sangue....tutto, tutto era stato un dono dei miei complici, i compagni della mia recita terrena. Rinsavire è il senso del mio viaggio; e il contributo di tutti costoro - chiamateli amici se volete - è stato fondamentale.
Cali or dunque il sipario; si finisce, e si ricomincia.
Ma stavolta, perdio, ah, stavolta sarà diversa, lo giuro a me stesso.
Parto, lascio tutto; le maschere di cartapesta dello spettacolo si afflosciano a terra vuote, esangui, inanimate. Il pubblico rumoreggia, ma tant’è: non si può rinviare. D’altronde queste evanescenti figure non troveranno di meglio che gremire qualche altro teatro per sollazzarsi davanti al suo insulso spettacolo, certo più in voga di questo mio che oramai ha chiuso i battenti.
E là dove vado non c’è nessun chiaroscuro da dipingere. Quindi, trattenete gli applausi, risparmiate il fiato.
Rimane, di vero, la pulsazione del calore nelle sue vene e nelle mie, la luce spiritata nei suoi occhi che mai potrò dipingere qual è davvero, perché non ne sono maestro né padrone, ma solo servo: l’amore.

Volo magico
Ci sono cento, mille
irte torri nere
nelle città dei papi
e dei re,
a Pesaro ed Accra,
a Taskent e Abidijan,
a Madras e Lisbona;
e da esse si slanciano
gli indovini
quando vogliono
solcare il tempo
e volare
sulle ali dei secoli,
mentre la rossa criniera
dei loro destrieri
remiganti nel vento
si agita al sole,
folle stendardo
di titaniche imprese.
Aprimi gli occhi, sorella,
e tu, amico mio,
stammi vicino,
affinchè io veda il giorno
dello srotolarsi
dei loro sogni,
a colmare il divario
dell’abisso dell’uomo.
Aprimi gli occhi fratello,
e tu, dolce amica,
tienti stretta a me
mentre anch’io volo
sulle vette del tempo
e tutto quell’oro
dai secoli occulto
splenderà nel mio buio.
La fabbrica dei sogni
Sappiamo bene che il cinema, come in genere lo conosciamo oggi, è per lo più un parto
hollywoodiano: la celebre “fabbrica dei sogni” cucita su misura, ai suoi esordi, per il pubblico
americano, che masticava idealismo a buon mercato e voglia di evasione, per sopperire alla
mancanza congenita di una storia, una cultura, delle radici ben identificabili.
Nel melting pot statunitense, ottenuto dalla simbiosi abbastanza artificiale di molte razze, etnie e nazionalità umane e fondato sull’obliterazione di una razza, il cinema viene a colmare dei notevoli e sostanziali vuoti di identità culturale, mescolando l’ingenuità dell’epopea di un Nuovo Mondo tutto da costruire con l’incarnazione velleitaria del paradigma del “buono” per eccellenza; viaggiando sulla scia dell’antica e prestigiosa figura mitologica dell’eroe, riveduto e corretto a stelle e strisce.
Eroe che in ambito cinematografico spesso incontra la sua nemesi avvitandosi su se stesso in un
clichè ridondante e ottuso ma a volte cavandosela anche con ingegnosità, guadagnandosi qualche
lode e sorprendendoci tutti quanti.
Di questo è capace questo popolo dai mille volti, sebbene in genere, nei films come nella vita reale, si adegui pedissequamente allo stereotipo greve, piatto ed esasperatamente conformista e patriottico, del divoratore di burger e masticatore di pop corn, sventolatore di bandiere ai raids politici e inguaribilmente vincolato all’idea di land of freedom.
Così, in qualche illuminata occasione l’ordinario “uomo della strada” yankee riscatta il suo
anonimato dilatando in modo esponenziale l’immaginazione al cinema e identificandosi con l’eroe americano di turno: Mr. Deeds che vince la lotteria, Mr. Smith che va a Washington, l'impavido sceriffo del Far West, il Padrino: e sogna….
Ma attenzione, perché in questo contesto praticamente tutto è possibile –come le vicende dei
protagonisti dei film del resto – e il genio dei pochi viene sguinzagliato delle possibilità,
praticamente smisurate, offerte dal mondo della celluloide: gli americani, proprio per la loro natura di essere mille razze e nessuna in particolare, sono in grado di toccare estremi difficilmente raggiungibili altrove, e il “paese delle opportunità” diventa terreno di caccia per il visionario di razza come per il più miserabile opportunista, l’idiota imbalsamato e l’artista sublime.
Tutto questo miscuglio di genio e follia, di bassezza e acume non poteva che riversarsi sul grande
schermo, rifugio conclamato delle aspirazioni americane, frustrate o no che siano: ed ecco che nel cinema d’oltre oceano abbiamo i capolavori assoluti come gli scellerati guazzabugli, la baggianata colossale o il tocco profetico e ispirato, la vicenda coinvolgente perché la sentiamo nostra o i più astrusi copioni lontani da ogni possibile pianeta dell’anima.
C’è però sempre, ad Hollywood forse più che altrove, uno spiraglio per le “opportunità” di scrollarsi di dosso - almeno parzialmente –l’ossessione del budget come la mentalità di regime, e
arruffianandosi un po’ pubblico e produttori, di uscirsene con delle proposte mica male, delle
ideuzze vincenti: la strategia del new deal trasferita al mondo del cinema, che con tocco ispirato
diventa mistero, epopea travolgente, sussurri da lontane dimensioni.
Ed ecco trovato il veicolo per un modo tutto nuovo di fare mito: raccontarlo per immagini in
movimento. Il più delle volte sono gaffe clamorose, ma in alcuni casi- nemmeno tanto isolati –
riescono a produrre delle risonanze profonde nel nostro animo e a segnarlo profondamente, forse anche involontariamente oppure per sbaglio (ma qualcuno ci sarà anche in America che ha
l’occhio rivolto al di sopra delle apparenze) collegandosi a quel mundus imaginalis in cui si
ritrovano gli archetipi del nostro retaggio umano, di tutti noi; e il “sogno” diventa realtà, aldilà dei risultati di cassetta.
Perché, fondamentalmente, E' realtà.
Cominciamo a dare un'occhiata - e partiamo col botto...
Strana cosa, la vita: noi non la capiamo, ma essa ci prende per mano e ci conduce dove vuole lei. Noi, forse, per quegli scoscesi sentieri non ci saremmo mai avventurati, se non per un impulso un po’ folle: dando ascolto a una di quelle voci che sussurrano a volte seducenti, a volte imperiose, con tono suadente e musicale all’ orecchio, spingendoci a cercare, a spingerci un po’ più in là dei nostri limiti; a mordere la mela proibita del chissà dove, chissà quando, chissà che….
Alzandoci d’impulso dal comodo divano dell’abitudine ci slanciamo fuori di casa, senza magari neanche afferrare la giacca, e senza sapere dove stiamo andando. Ed è così che iniziano i romanzi di avventura, che di solito riservano al protagonista un discreto numero di rogne, ma anche soluzioni geniali che gli consentono sempre di portare a casa la pellaccia.
E, spesse volte, di sbarcare in quel chissà dove, chissà quando, chissà che.
​
La parola ai giurati
Un ipotetico sottotitolo di questo film potrebbe essere: “L’apoteosi della pecora nera”. E’ infatti la storia di come un uomo, da solo, sfidando la spinta della massa conformista e il pensiero comune,


Gli Arcani Maggiori dei Tarocchi rivisitati:
Arcano XIII-
Questa lamina è stata oggetto di ciò che si può definire un "furto di identità": infatti è stata indicata, generalmente, come "La Morte" mentre, come vediamo nella figura che la illustra più sopra, nel mazzo più prestigioso e autorevole dei Trionfi, quello di Marsiglia, non viene riportata nessuna dicitura che la identifichi in un modo o nell'altro. Dunque una definizione più appropriata è "L'Arcano senza nome".
Per questo definire tale Arcano come "Morte" è del tutto arbitrario, e nemmeno giustificato da ciò che l'immagine suggerisce. Infatti come vediamo non si tratta affatto di uno scheletro, bensì di una figura umana vista come ai raggi X, e che ha un corpo di carne come indicato dal suo colore. E chiaramente il teschio non è un teschio, ma sembra piuttosto una maschera, indice del fatto che ancore l'essere non si è sbarazzato del tutto dell'adesione alle forme: le rifiuta ma ancora aderisce ad un suo ruolo sociale.
Il messaggio che questo radicale Arcano trasmette non ha poi niente a che vedere con la morte se non nel senso di "morte all'io", cioè il superamento degli attaccamenti mondani - rappresentati dalla testa coronata tagliata e dalle altre parti del corpo recise - come pure il superamento dell'identificazione con la personalità, passaggio evidente nell'essenzialità di questa figura che non presenta caratteri riconoscibili.
In altre parole, si tratta dell'essere che si è incamminato sulla via della trasformazione interiore e con la falce fa piazza pulita di tutti i suoi "idoli", delle convenzioni, dei formalismi, dell'adeguamento alle apparenze, dei conformismi che gli ostacolano il cammino.
Vediamo nell'Arcano del Matto, che è senza numero come l'Arcano XIII è senza nome (gli unici due nella serie di 22), il completamento del processo di disidentificazione iniziato dall'Arcano senza nome, e combinazione le due figure sono posizionate nello stesso modo:
mantenendosi fedele alle proprie convinzioni e non cedendo ai pregiudizi, riesce a ribaltare una situazione che all’inizio lo vedeva perdente 11 a 1: il “diverso” che fa la storia, o meglio la capovolge.
Capolavoro di un cinema “statico”, si svolge dall’inizio alla fine nell’aula designata ai giurati che devono decidere su una possibile sentenza di morte: siamo nell’America degli anni’50, quando la pena di morte era di fatto applicata in tutti gli stati dell’ Unione (il film originale è del 1957, ma vi è un bel remake del 1997 con Jack Lemmon).
I giurati sono chiamati a decidere sulla sorte di un giovane dei bassifondi accusato di omicidio. La sorte del ragazzo sembra decisa in partenza, perché i giurati, emblematici, dal primo all’ultimo, del più bieco conformismo pur nella loro diversità individuale, sono concordi fin da subito, immediatamente dopo essersi riuniti per votare senza neanche discutere il caso, nel ritenerlo colpevole a priori.
Tutti tranne uno, che capisce che il giudizio degli altri è adulterato dai loro pregiudizi; e avvalendosi del fatto che la sentenza deve essere unanime, tiene la posizione e con caparbia ed efficacia, resistendo alla pressione emotiva della maggioranza, comincia a smantellare tutti gli indizi e tutte le presunte prove contro il giovane; così facendo, a poco a poco, guadagna anche altri alla sua prospettiva, e ad uno ad uno i giurati rinunciano al verdetto di colpevolezza che sembrava gioco fatto all’inizio, finchè alla fine il giovane, su cui gravavano i pregiudizi di tutti per via della sua classe sociale, viene dichiarato “non colpevole”.
Nel corso di questo processo quasi “magico” in cui ci guida un superlativo Henry Fonda, assistiamo anche a un capolavoro di sottigliezza nello studio caratteriale e nella definizione dei personaggi, in cui la personalità di ogni giurato viene magistralmente tratteggiata con acume e profondità, lasciando ognuno nudo con se stesso. Dunque un film straordinario, direi epocale, di analisi psicologica.
E’ la storia di chi non si rassegna a dare le cose per scontate, che non accetta supinamente le imposizioni della mentalità comune, che vede al di là delle apparenze e soprattutto che sfida la marea del conformismo e del qualunquismo delle maggioranze con la loro anonima criminalità: quello da Jung definito “inconscio
collettivo”, un effetto anche definito "realtà di consenso": una forza dall’impatto spaventoso, perché portata avanti dalla stragrande maggioranza delle persone, ormai assuefatte, anche ad opera di scaltri burattinai globalisti, a limitazioni che tali non sono.
Così anche noi possiamo ribaltare la forza della psiche collettiva come quella individuale –la sindrome dell’ essere un mucchietto di carne ed ossa, un episodio effimero e insignificante nell’oceano dell’esistenza - risalendo la corrente della consapevolezza fino a riappropriarci di quel che siamo veramente: una presenza- coscienza unica e irripetibile nell’economia del Grande Tutto.

Elasticità mentale
Un uomo era molto affezionato al cane che gli era morto e si rivolse ad un prete:
"Padre, vorrei che lei celebrasse una messa in suffragio del mio cane"
Il Prete , indignato, rispose:
"Guardi, qui non celebriamo messe per i cani. Provi a rivolgersi alla chiesa evangelica, più avanti in questa strada".
"Ah, peccato" rispose l'altro. "Avevo pensato di fare un'offerta di diecimila euro per questa messa" e fece per andarsene.
"Un momento! " Esclamò il prete. "Non mi aveva mica detto che il suo cane era cattolico!"
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L’esistenza di un piano invisibile che regge quello visibile è un pensiero di tutta la mitologia e anche del mondo paleo-cristiano della gnosi. Per questo del resto esistono i simboli, i miti, le leggende, le fiabe: per tradurre in linguaggio comprensibile, correlabile all’esperienza umana, concetti che di per sé non sono alla portata della comprensione umana.
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Dunque se ne deduce che si tratta dello stesso individuo, in realtà l'archetipo del "cercatore", dell'iniziato in due diverse fasi del suo percorso: dopo aver gettato le basi della disidentificazione dalle forme e dalle apparenze nella stazione dell'Arcano XIII, che appunto non ha nome perchè se ne è liberato, qui, oltre l'estremo limite del ciclo degli Arcani Maggiori, e quindi senza nessun numero, l'iniziato ha concluso il suo percorso e se ne va, scende dalla giostra dell'illusione. Il suo bagaglio è un fagotto floscio, chiaramente vuoto , ed ha il color carne: è il suo corpo ormai svuotato del suo contenuto.
Nelle fiabe si attiva un meccanismo analogo a quello dei miti, cioè quello che consiste nel delineare in maniera simbolica eventi primordiali, o di trasporre in maniera figurata principi archetipici sottostanti la realtà intesa come operazione iniziatica, di tipo magico: una realtà volta a riportare l’uomo alla sua vera dimensione o di evidenziare gli ostacoli che l’essere, a livello di confronto con le forze in gioco in questo mondo, si trova ad affrontare.
Nelle fiabe tutto è folle, ma nulla è stupido, e le bizzarre combinazioni che vi si trovano esprimono l’unità, la connessione e la potenzialità delle cose più profondamente di quanto non facciano le rigide costrizioni di questo mondo. Le fiabe allora sono un po’ come il Matto dei Tarocchi, padrone di una saggezza talmente vasta e incomprensibile che ai più sembra follia.
Il messaggio principale delle fiabe, con quella loro quasi sempre inevitabile conclusione “e vissero per sempre felici e contenti” ricalca il ritorno dell’uomo a una sua condizione “ottimale” non tanto di felicità di per sè, ma quanto di elevazione e di trasformazione dell’essere, considerando che per la maggior parte la fiaba parla di principesse che si congiungono felicemente a un principe (congiunzione degli opposti, androginia) oppure a qualche uomo diciamo così “normale” – quando non addirittura considerato sotto-normale -che, dopo essere passato per varie peripezie, acquisisce una condizione superiore (l’iniziazione).
E normalmente questa persona viene “da lontano”, a significare il lungo percorso iniziatico che porta l’essere alla sua realizzazione.
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Ma cosa mi racconti?



Ramona faceva la spogliarellista a Las Vegas, perciò non aveva proprio nessun imbarazzo a togliersi i vestiti davanti alla gente. Quella notte, però sola e nuda alla luce della luna piena, il cielo pieno di stelle nel deserto più deserto che c’era, si sentì un po’ imbarazzata dalla sua stessa presenza, unica testimone della sua nudità viscerale, totale, quasi come se si fosse tolta perfino la pelle, tanto era nuda. Si sentiva strana, strana ma felice. E soprattutto libera, per la prima volta nella sua vita.
Una voce l’aveva chiamata nel cuore della notte.
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NON ERA SOLA
Era uno strano sussurro portato dal vento, che si strascinava inquieto su note musicali quasi dolorosamente percepite dall’orecchio angosciato della mente, dai sensi intorpiditi, risvegliati lentamente ad una variazione di frequenza sullo schermo della ragazza, malata di apatia.
Dapprima aveva fatto finta di niente, anche perché si era messa comoda a guardare la TV (era la sua serata libera ). Però quella voce era insistente come un rubinetto del gas lasciato aperto, come lo stillicidio del lavandino che poi ti inonda l’appartamento. E toccava le note più discordanti della sua esistenza: il divorzio dei genitori quando era ancora piccola, la difficile convivenza con una madre alcolizzata, lo stupro subito a quattordici anni, tutti i suoi maledetti errori, le sue storie d’amore finite male, l’alcool, la droga, le crisi depressive…
Ed ancora, ancora, come una mesta cantilena, la voce le penetrava dentro, e andava più in là, cambiando tono per smuovere le parti più dolci, più vere di lei…la sua prima cavalcata, il primo vestito, il primo appuntamento. I sogni, le illusioni, le speranze, le poche amicizie vere. Che cos’era mai quella scia di note musicali, che man mano che i minuti passavano, addolcivano il loro ondeggiare nell’anima e le portavano visioni di un sé sconosciuto, mai vissuto, ancora di là da venire? E la proiettavano verso verdi primavere vestite di campi infiniti, di cieli rosseggianti al tramonto su lunghe spiagge deserte, di volti sorridenti e braccia accoglienti. Tangibili vibrazioni che risuonavano in lei come il cantico di amore dei secoli, come lo spumeggiare silenzioso delle onde del tempo, che tutto lavavano, tutto lenivano, tutto rinnovavano…
La voce la chiamava ad andare, a presenziare a un rito di cui lei era l’unica officiante e l’unico spettatore, ad un ultimo sacrificio da offrire ai numi sconosciuti della dimensione parallela della sua esistenza; ad un’altra lei, a una figlia finalmente dell’Universo, all’accoglienza benevola di se stessa, a un’inondazione di pianto, a un’esplosione di gioia.
Andò, Ramona, con animo dolce e quieto: andò con la piena misura della sacerdotessa in lei, con la serena consacrazione ad un’eterna pienezza.
Non tornò più Ramona, perché il suo spirito si era sperso nella notte stellata di un deserto.
SHERLOCK HOLMES COLPISCE ANCORA
Il penoso caso del ritrovo stellato
L’osteria della Fisica Quantistica era un localino niente male, molto frequentato dagli intelligentoni di tutto il paese.
Il piatto forte era “La costante di Planck”, cioè sempre disponibile tutti i giorni in short order, un piatto minimalista che prevedeva lumache spalmate su salamandre al forno con arrosticini dorati di lombrichini francesi. Consigliatissima per chi ci teneva alla linea.
C’era poi “L’indeterminata di Heisenberg”, che consisteva in un piatto a sorpresa secondo il capriccio del momento del cuoco: poteva trattarsi di pitone reticolato in umido con contorno di cincillà del Brasile meridionale, oppure di caimano rosso fragola alla piastra con ripieno di vongole pasticciate morte di morte naturale; o anche pellicano svedese bollito con occhiette di melanzane siberiane in salmì; o anche di lingua di formichiere con trionfo di pelle gratinata di ramarro cinese. In alternativa c’era la mandragola d’alce sorpreso a brucare abusivamente sul prato della Casa Bianca farcito con testicoli di cefalopodi bitorzoluti in agrodolce. Quando invece lo chef aveva poca voglia di lavorare c’era un semplice babbuino allo spiedo, liscio o con selz. Insomma, la sorpresa era assicurata, ed era infatti il piatto che andava per la maggiore.
C’era poi “La Relatività ristretta”, un brodino di yak tibetano con asparagi brulè e noci di cocco fondu. Semplice, minimalista e ipo-calorico.
Per non parlare poi del dessert, il “Gatto di Schrodinger”, che però non era affatto un gatto, ma un dolce perlato di cozze della fossa delle Marianne con cascame di fagiolini svizzeri e un barlume di angostura cognaccata. Il nome derivava dal fatto che al cliente venivano portate tre scatole, sotto una sola delle quali c’era il dolce a forma di gatto. Il cameriere pakistano di origini partenopee scopriva la scatola del gatto e faceva vedere al cliente dov’era; dopo , con rapidissimo gioco di mano, spostava a velocità supersonica le scatole sul tavolo, accompagnando il tutto con “sta ccà, ccà nun ce stà, e ccà ce starà, mo’ chissà? Arò sta? Dicitincello vuie a stu compagno vuostru!” . Quando il cliente sceglieva la scatola, se non trovava il gatto, doveva fare senza ma gli veniva addebitato in conto comunque. Quasi mai lo si trovava. Fuori dagli schemi della fisica c’era la tradizionale e sempre gettonata “Longobarda Mulligan” (il nome della cuoca che l’aveva creata agli albori del mesolitico) un piatto molto semplice e anche un po’ banale, se vogliamo, però gustoso, per intenditori: coscia di ippopotamo bollita in latte di coccodrilla e variegata con puntini di sospensione e con iniezione di crema tartufata sexy.
Per i palati meno esigenti e i portafogli meno forniti c’era infine il “Wormhole virulento”, una zuppa di alieno abbattuto mentre si aggirava sulla terra alla ricerca di un panettone. Quell’essere amorfo (giacchè nella sua attuale condizione non dava adito ad alcun tipo di congettura circa il suo aspetto originale) proveniva dal sistema di Vega: era quindi, a tutti gli effetti, un vegano. Questa originale specialità, accompagnata dalla colonna sonora di “Dèi e tulipani”, veniva servita con crostini di cammello e noccioli di fico d’india alla tabula rasa.

Qui sopra: Sherlock in uno dei suoi
più astuti travestimenti
Scusate, dimenticavamo l’antipasto: “Le superstringhe srotolate”: involtini di acciughe travestite da lacci di scarponi da minatore (per non dare nell’occhio) in salsa di broccoli asfissiati e crema di cozzette allibite alla Barbablu.
Il cocktail della casa era il “Collasso della funzione d’onda” talmente forte che si lasciava sempre dietro una scia di corpi appunto collassati per terra vicino al bar. Poi passava un cameriere a spazzarli, a raccoglierli con la paletta e a stiparli in un magazzino attrezzato all’occorrenza finchè non si riprendevano e pagavano il conto, quindi potevano uscire su cauzione.
“L’orizzonte degli eventi” era il momento di pagare il conto, sempre salatissimo: se l’avventore non aveva abbastanza soldi arrivava molleggiandosi stancamente Primo, ex-lottatore di Sumo dei lidi ferraresi (ma così diceva lui per darsi importanza, in realtà era di Somma Vesuviana) che sistemava le cose a modo suo: scattava così la fase detta “Universi paralleli di Everett” . Dietro il ristorante c’era infatti un terreno apposito con una sfilza di lapidi commemorative dei clienti insolventi. I frequentatori del ristorante, prima di uscire di casa, si congedavano in lacrime dai familiari e parenti con grandi abbracci, pianti e stridor di denti, non sapendo se sarebbero tornati vivi. C’era persino chi, prima di recarsi al ristorante, passava prima dal notaio e redigeva il testamento; e chi, a forza di braccia, spingeva una pesante carriola ricolma di banconote. Altri, dovendo contare su risorse più modeste, si arrangiavano svaligiando banche per coronare il sogno di una vita: una cena nel prestigioso ristorante.
In questo bell’ambientino si muovevano con molta grazia Sherlock Holmes e il suo assistente Watson, sorbendo un punch di tè alcoolizzato al 79% , e si sentivano un po’ euforici: iniziò così il giro dei ricordi, costellati da grasse risate e pacche sulle spalle.
“Lo sa, Watson, mi è sempre piaciuta la fisica: all’università facevo la corte a Miss Etiope Crapula, docente di quell’astrusa materia. Aveva un fisico mozzafiato!”
“Tutte curve, eh?”
“No, si trattava del suo fidanzato, un fisico nucleare muscoloso e molto geloso che ogni volta che mi vedeva ronzare attorno a Etiope mi assestava un cazzotto nello stomaco mozzandomi il fiato per qualche minuto”
“Da parte mia” interloquisce Watson, “devo dire che la mia cara zietta era una grande ammiratrice di Newton: ogni giorno, senza fallo, praticava la legge di gravità quando il marito, dopo un violento alterco, la buttava dalla finestra del quarto piano”
“Eh, sì, bei ricordi! Bei tempi, quando anche i delinquenti si adeguavano alle leggi della fisica abnorme! Ricordo quel nobile decaduto, il baronetto Apostrofo Tennis Di Burano: quanto amava la teoria della relatività! Ogni volta che borseggiava qualcuno gli diceva: “Relativamente al suo portafogli, esso le appartiene relativamente, perché un giorno morirà: dunque me lo consegni se non vuole morire subito. Infatti anche il tempo è relativo, poichè un uovo oggi è meglio di una gallina domani.°
“Era anche filosofo, dunque!”
“Sì, neoplatonico, poiché amava neoplatonicamente una donna, Mimma Spatolata, che non lo guardava neanche in faccia. D’altronde, era sempre mascherato”
“Altri tempi, caro Holmes, altri tempi! Ormai non c’è più eleganza nel commettere reati!”
“Può ben dirlo, Watson! Ma ecco il nostro antipasto!”
Avevano ordinato Antilope ai ferri con manette di ottone e catene zuave con contorno di sbarre a la fenetre, un classico della casa sotto la voce “Buchi neri e dintorni”.
Ma quando il cameriere sollevò il coperchio della portata, meraviglia! C’era il cadavere del proprietario del locale, il fisico ceko Kalo Derma.
“Cameriere! C’è un capello nella mia portata, con tutto il resto del corpo attaccato!” Protesta Holmes.
“Ohibò! Il cannibalismo non va più di moda, buon uomo!” rincara la misura Watson.
Il cameriere sviene perchè il principale non lo aveva ancora pagato prima di essere ammazzato.
“Questo fa il furbo perché non vuole portare indietro questo piatto poco azzeccato” commentò Holmes di malumore.
“E’ tutta colpa di quel cuoco slovacco che hanno assunto da poco, ci scommetterei!” fa Watson.
“Slovacco, ha detto? Per Giove, precipitiamoci in cucina!”
Detto fatto corrono nell’enorme cucina a quattro piani del locale e scendono fino alle segrete, dove langue il vero cuoco, Miztul Barigazzi Walter (i genitori si erano dimenticato di dargli il secondo nome e così lo aggiunsero dopo).
“Sì, io essere slovacco, non sapere niente” fa dopo che i due lo liberano dall’angusta prigione.
“E parli come mangia, buon Dio!” lo esorta Holmes.
“Oh, grazie, signore, è un vero sollievo poter parlare normalmente!”
“Ma si può sapere che è successo?”
“Ecco, stavo preparando il mio piatto a cinque stelle, “Zafferano e basta” quando qualcuno mi è venuto alle spalle e mi ha stordito con un cosciotto di iena maculata che teniamo sempre per riserva. Poi naturalmente mi sono svegliato qui, dove non c’è nemmeno uno stupido branzino da cuocere al forno!”
"Qualche sospetto?"
Pellegrino

Stanco,
così davvero stanco,
i miei cammini esausti
inanellano piano
la lunga storia
di strade polverose
che piegano il dorso,
di fresche fonti
sguazzanti ricordi
di grida lanciate
dai monelli
al calar del sole,
ardenti negli occhi
e sazi di un gioco
vorticante, impetuoso.
“Chineremo il capo”
dicevano i savi,
“sì chineremo il capo
perchè Dio
non lo si può guardare in faccia”.
Eppure io qui,
appoggiato al mio bastone,
sull’orlo del precipizio
alla fine del mondo,
io lo vedo Dio.
Presenza dolce annunciata
dall’orgasmo
di esultanti colori
che impazzano dentro.
Sì, sono stanco,
ma il sorriso di Dio
mi riscalda dalla sponda
di un’altra vita.
Forse la mia.


Non ricordo come ci arrivai.
Quello che ricordo è un mio avanzare lento, quasi a tentoni, in quella coltre di nebbia fitta che tutto avvolgeva, e che dava alla mia dimensione corporea un’indefinitezza tale che non potevo dire se ero lì col corpo o meno. Altre ombre (umane?) mi passavano accanto, anch’esse avvolte nel sudario stillante di quella foschia, e come me anch’ esse presenze forse incorporee, o forse no.
La mancanza di punti di riferimento solidi e certi mi creava da un lato un profondo disagio, dall’altro mi diceva che ogni direzione era aperta, ogni cosa possibile: e in questo la mia anima riposava, sentendo che in fondo un qualche astro mi dirigeva là dove sarei dovuto arrivare. Il cupo sipario della nebbia si sarebbe dissolto rivelando la mia destinazione, quella che il timone segreto dell’anima aveva già scelto e la cui rotta aveva già intrapreso.
Nel cielo l’umida caligine si diradò abbastanza per scorgere un astro luminoso, pallido e velato, che sembrava lottare per imporre la propria presenza. Era il sole, era la luna? Non potevo dire.
Il mio passaggio era reale quanto l’irrealtà apparente di quello scenario: le tappe obbligate della mia vita, deludenti o importanti, significative o doverose, mi avevano condotto al punto limite in cui non sai più se sei tu che vivi o solo l’ombra del tuo sperduto ego. Da lì lo spartiacque di un’esistenza poteva ben dirsi delineato: da un lato la scialba quotidianità degli smorti spettri viventi, dall’altro la vita esuberante di chi è morto a se stesso e lo ha fatto mille e diecimila volte, ogni giorno della sua vita: che ha sentito su di sé il cigolio impietoso degli anni, le sferzate crudeli del dolore, lo scorrere della fatica di vivere lungo il dorso, ma che ha anche contemplato verdi distese inondate di sole, dove ha potuto adagiarsi e stendere grato le membra, dove qualche fiore profumato è riuscito a coglierlo inebriandosi della sua fragranza.
Un ponte. C’era forse un fiume impetuoso sotto, un placido lago, un mare sterminato, il nulla, l’orrido abisso del vuoto incolmabile dell’io? La nebbia, ora meno fitta ma ancora persistente, non rivelava l’arcano. Ma se ponte c’era, valicarlo bisognava. E lo feci.
Lungo era, infinito sembrava. Eppure, man mano che procedevo, sempre più si diradava la nebbia, svelando al di sotto di esso campi fioriti e ruscelli mormoranti d’acque canterine, verdi boschi e pianure ubertose. Un senso di gratitudine mi inondava il cuore, una gioia innominata, una pienezza leggera, sapendo di essere ormai a pochi passi della meta.
Non mi è concesso descrivere ciò che trovai al di là del ponte, oltre la nebbia. Certi misteri non si fanno svelare facilmente, poiché sono prerogativa di colui che li scruta penetrandoli come si varca una porta. Le cicatrici dell’anima sono il vanto di chi ha salvato la pelle e ha portato a casa il bottino, ricacciando in gola alle Valchirie il loro canto funebre seppur glorioso.
Ma eccomi là, dove tutto è come deve essere, dove un’armonia inarrivabile sottende ogni atto, ogni passo e ogni parola silenziosa; là dove si è i benvenuti per sempre, dove le madri non passano notti insonni nell’apprensione per i figli lontani, dove una musica non udibile accompagna ogni attimo fuori dal tempo. Nulla è fuori posto qui, perché nulla lo può essere.
Sono a casa.
“Puoi conservare o bruciare…ma non dissipare! L’alchimia dell’anima ti impone la metamorfosi o la morte” - Gustav Meyrink
LA CASA DELL'ALCHIMISTA
Dice la stampa...
Altri lusinghieri commenti che dimostrano la mia notorietà in campo internazionale
“Parbleu, c’est le chose le plus idiot que j’ai lu dans ma vie”
----Honorè del Balzac, “Le Figaro” 13 Aout de 1850 (quelque jour avant de mourir: il se peut que ce livre a causè sa mort )
“Io dico vuoi no legge qvesto: pericuolo di morte, dà?”
---- Borislav Chiknowskji, “Le pietre di Pietroburgo” anno non specificato: intorno all’anno Mille e non più mille.
“Quest’uomo è un genio: il genio del male”
----Porfirio Vinciguerra, “La gazzetta di Scandicci” 17 Maggio 1950
“Qui da noi al Polo Nord si sentiva – e devo dire dolorosamente – la mancanza di un testo di un così elevato livello intellettuale come questo, incisivo ed elegante, per sopperire al desolante vuoto ideologico lasciato dall’inopinato ridimensionamento demografico del deserto dei Tartari. Ne raccomando caldamente la lettura a tutti gli sceicchi del mondo arabo e al sindaco di Benevento. Ma, pensandoci bene, anche a mio cognato Gaetano e a sua figlia Mimì”
-Prof.ssa Pandemica D’art, da “Gli effetti dei carotaggi artici sul campo gravitazionale terrestre in relazione alla transumanza delle renne lapponi e ai movimenti migratori delle gallinelle d’acqua norvegesi”, su “L’eco della Finlandia”, Winnipeg, Marzo 1887
“Se questo libro rappresenta un esempio del livello intellettivo medio dei terrestri, oserei affermare, certo di non essere smentito, che i nostri piani per l’invasione e la conquista di quello strambo pianeta non incontreranno molti ostacoli”
--Gen. Grafixant Gudramantix, “La spia marziana”, rivista bimestrale, Baselga di Pinè, Giugno 1947
“Archeologicamente parlando, non trovo niente da ridire su questo testo; beninteso, se si supponesse redatto da un pithecanthropus erectus mentre si dondolava sulle liane della foresta vergine di Giava, intento a guardarsi da pantere e pitoni”
---Prof. Otto Ingelmann, “Revue scientifique des enfants” Palma di Montechiaro, data non riportata
“Onorevoli amici, stimati colleghi, ci troviamo di fronte a un evento epocale: un libro che ci permette una cospicua quantità di osservazioni sulle svariate e molteplici aberrazioni della mente umana, universo sconosciuto ma da oggi, grazie al testo di questo picchiatello, un po’ meno. E’ un enorme passo avanti per la ricerca psichica e un grande giorno per tutti noi”
---Sir Alphonse Sleazeball, “Journal of the psychic research society” London, 1897
“A livello sismologico, i dati in nostro possesso non ci consentono al momento di ipotizzare l’esistenza di un nesso fra il recente e devastante sommovimento tellurico e la pubblicazione di questo testo. E’ un dato incontrovertibile, tuttavia, che l’epicentro del terremoto corrisponde esattamente alla posizione in cui è situato lo stabilimento tipografico che ha stampato il libro”
---Prof.ssa Limbezia Valtub, “Ipotesi kafkiane” periodico regionale, tiratura limitata a 6 copie, gennaio 2007


Parliamo di cinema
Interstate 60
Il viaggio della vita, il pellegrinaggio alla ricerca di sé, della propria vera essenza. Questo è il senso di fondo di questo road movie, che ne trasferisce di diritto le caratteristiche nell’ambito iniziatico pur forse non volendolo, come a volte succede per alcuni film hollywoodiani che si rendono involontari strumenti di realtà che forse non intendevano raffigurare o di cui i produttori non erano del tutto a conoscenza (ma questo non lo sappiamo).
La storia narra di un bravo giovane che sogna di diventare pittore ma che il padre avvocato cerca di plasmare a modo suo, volendo farlo diventare esattamente come lui, un membro robotico di un sistema senz'anima,

A te
il mio amore umido
gocce imperlate al mattino
su steli verdi
gravidi di sogno
a te
che accogli
le mie stanche
notti disperse
con suggello d' ’amore
mentre la fidanzata è una figura piuttosto scialba e conformista e anch’essa è “complice” involontaria dello stato di cose stagnante in cui lui è preso.
L’incontro con un “aiutante da altrove” dopo un’apparentemente “casuale” trauma cerebrale (ma che vediamo in realtà indotto proprio da quell’aiutante) lo porta a capire che è l’universo stesso che, per dirla con le parole di Paulo Coelho, “cospira affinchè la tua leggenda personale possa diventare realtà”; e viene guidato, mediante l’apparizione di un altro aiutante “magico” (come quelli tipici dello schema delle fiabe) che lo conduce sui primi passi a intraprendere un viaggio in auto che lo porta a percorrere una strada statale che non esiste nella realtà (sebbene sembri del tutto reale) e ad attraversare cittadine anch’esse inesistenti sulle mappe, ognuna animata da dinamiche totalmente differenti quanto estreme. Si tratta, a tutti gli effetti, di una realtà parallela, a dimostrazione della labilità del confine fra vita cosiddetta “reale” e quella che si può definire immaginale (non “immaginaria”).
Il giovane viene guidato, passo dopo passo, da segni ben precisi e decisivi per l’esito del suo viaggio, ma che sta a lui interpretare ogni volta, mediante la facoltà di scelta dando ascolto agli indizi dell’anima. L’incontro con una ragazza anch’essa “magica” (ma che poi diverrà reale nella sua vita “vera” al ritorno dal viaggio dopo essere apparsa nei vari cartelli pubblicitari “indicatori” agli inizi del suo tragitto sulla realtà parallela) darà una svolta alle sue vicende. Anche qui vediamo il tema della potenza femminile che lo aiuterà in maniera decisiva a realizzare le sue velleità artistiche e al tempo stesso l’amore: insomma la riunione con la polarità femminile alla base della realizzazione di sé o del percorso iniziatico, o anche dell’odissea del protagonista, perché certamente di tale si tratta.
Non mancano le disavventure, le trappole e i personaggi scomodi, che appaiono nel ruolo di tentatori, come ad esempio l’ autostoppista ninfomane che cerca di sedurlo perché il suo scopo nella vita è farsi più uomini che può, sempre alla ricerca di quel piacere che non trova mai: classica raffigurazione simbolica dei piaceri materiali che soddisfano per un poco di tempo ma poi lasciano a bocca vuota. Ma sono anche presenti i personaggi che aiutano e confermano la volontà di portare a termine il viaggio, presenti anch’essi nelle fiabe.
Uno degli aspetti più significativi è che l’aiutante “magico” che lo guida sulla strada ha un aspetto bivalente, ed incarna un po’ il paradigma del trickster, perché il suo intervento, che consiste nell’avverare “desideri”, è un aiuto per alcuni ma una maledizione per altri, come per quell’uomo che aveva sempre fame e aveva avuto esaudito il suo desiderio di mangiare quantità in credibili di cibo. Così trovava sempre il modo di mangiare in grandi quantità ma rimaneva sempre insoddisfatto. Questa ambivalenza viene orientata in un senso o nell’altro proprio dalla scelta del richiedente di turno, una scelta che rispecchia sempre le sue qualità e principi interiori (o mancanza di essi).
La storia trova il punto di svolta nel momento in cui il protagonista getta via la sfera che gli dava risposte sulla prossima mossa da fare e si assume la responsabilità del proprio destino: inizia a creare, insomma, la propria realtà perché capisce che solo lui può. Nel momento in cui contatta le sue risorse più profonde, vorremmo dire il “maestro interiore” e rinuncia alle stampelle delle risposte esterne a lui avviene la svolta ed egli diviene in grado di determinare il proprio futuro. E questo è l'insegnamento che aveva in serbo per lui l'avventura, per quanto lui non lo sapesse all'inizio. E infine alla conclusione del viaggio parallelo ma molto reale al tempo stesso egli è diventato un'altra persona rispetto a quando era partito. Che è lo scopo del viaggio della vita, se lo seguiamo con cura.
Un film estremamente significativo, letteralmente cosparso di elementi iniziatici.
A te
preziosa
figlia di Luna,
scrigno vellutato
di bellezza speziata
limpido porto
di sguardi brucianti
pensieri snervanti
notti deliranti;
dolce vortice
di smarrimento
Perduto/ritrovato
" Laddove un profano si chiude nelle sue paure,, un iniziato si apre verso l'Ignoto, al cui richiamo chiaroscurale non solo non si sottrae, ma lo rende proprio, proiettandovisi dentro: nessuna realtà è tale se non quella in cui ci si proietta con il proprio Sè, il resto è illusione e polvere""
- Ottavio Plini
RECENSIONI LETTERARIE
IL GOLEM
Gustav Meyrink
Tre editori 2015
Praga, inizio '900. Un uomo apparentemente senza passato -poichè non se lo ricorda - vive intagliando gioielli,come se lo avesse fatto da sempre. Sullo sfondo delle tetre viuzze del ghetto ebraico, dove egli vive,di quando in quando appare il "golem" , fantomatico essere, una sorta di spettro in carne ed ossa o di pupazzo animato, che viene di volta in volta avvistato per le strade quando non c'è nessuno in giro o, più frequentemente, affacciato all'alta finestra di una casa che non ha nè porta nè altre finestre.


L'amore per una ragazza scuote il protagonista,che finora ha vissuto come in sospeso, in una specie di stato di vigile sonnambulismo pur essendo cosciente.In seguito a varie vicissitudini si spinge in un cunicolo nelle cantine del palazzo in cui vive, e finisce per sbucare, da una botola sul pavimento,in una stanza con una finestra ma senza porta: capisce così di essere entrato nella stanza del golem. Sul pavimento dei vestiti ammucchiati, che riconosce come suoi: davanti ad essi la prima carta dei Tarocchi, il Bagatto. E' il risveglio. Comprende di essere lui il golem come c'è un golem in ognuno di noi e quando si accetta come tale la sua vita sboccia. ognuno è il fantasma/potenziale al tempo stesso di ciò che è in realtà, ed ecco che lui si trova di fronte al suo archetipo, muto e pronto ad essere animato dalla sua scelta di "indossarlo" come quei vestiti che gli appartengono. Non gli occorre ritrovare un passato perchè davanti ha solo il presente: il presente di un’identità che gli appartiene molto più di quella anagrafica: un’identità assoluta,universale, da cui costruire un futuro “parallelo” di cui quello terreno è solo un’ombra. Seguirà questa nuova traccia fino a ritrovare se stesso,come vedendosi dal di fuori, in una casa che ha tutta l'aria di appartenere ad un'altra sponda dimensionale- perché non esiste nella “realtà” visibile -,insieme alla ragazza che ama e che nella”realtà” cronologica aveva perso di vista.
Parabola iniziatica che restituisce al protagonista- che può essere chiunque - la "memoria" di sè, di chi si è veramente; ossia della propria vera identità,non quella di un passato fatto di ombre ma quella di una dimensione atemporale in cui si può davvero essere ciò che si è destinati ad essere.
Nel momento in cui il protagonista (cioè ognuno di noi) si vede per quello che è nello specchio del Bagatto, questi inizia ad agire,e , allineando gli evento più consoni alla nostra propria trasformazione ci porta alla nostra vera destinazione: un'altra dimensione interiore.
LE FIABE SCONVOLGENTI
Raperonzolo
Nella fiaba dei Fratelli Grimm era una ragazza che sin da piccola era stata segregata in una altissima torre senza porta da una strega cattiva, e che faceva salire il principe suo amante facendolo aggrappare alle sue lunghissime trecce, simbolico del trasformare l’immanenza in trascendenza.
Il varco per un mondo “superiore” o meglio la potenza che dà adito a una dimensione superiore dell’essere -rappresentato anche qui, come in molte altre fiabe, dalla donna - era stato chiuso (la porta).
Il fatto che manchi la porta sta a significare che fin "lassù" non si può arrivare con mezzi "normali", con la ragione, la razionalità o la volontà, ma bisogna contare sul solito "aiuto dall'alto" (mai come in questo caso vero alla lettera). Come sempre, da solo, cioè contando unicamente sulle sue risorse umane l'eroe non ce la può mai fare. Possiamo tranquillamente assumere che l'incontro fra i due, come nella norma delle fiabe, rappresenta la coniunctio oppositorum alchemica,
Notiamo anche che la torre in cui era rinchiusa Raperonzolo era circondata da rovi e arbusti cresciuti inestricabilmente, così da divenire praticamente irraggiungibile, e il principe, prima di "ascendere" da lei, al suo stato superiore sul piano verticale cioè, dovette farsi largo sul piano orizzontale; disfarsi cioè degli ostacoli della personalità, che come nella parabola evangelica del seminatore rappresentano i richiami e le preoccupazioni della materialità, e l'inganno delle ricchezze (che non devono necessariamente essere letterali: uno può abbondare anche di orgoglio o di poca lungimiranza, di superficialità e qualunquismo).
Particolare importante, qui la potenza non deve essere conquistata con imprese coraggiose sfidando ogni genere di ostacoli, come invece accade altrove in altri miti e fiabe, ma essa si offre da sè, mediante una sua estensione (le trecce) all’iniziato che non deve fare nulla per averla, poichè egli la attira a sè mediante la trasformazione del suo mondo interiore; nel momento in cui il principe attua una integrazione con il vero sè, il ricordo di sè e prende coscienza della sua vera identità interiore, che non appartiene a questo mondo, ecco che le porte della dimensione superiore si spalancano, le trecce - cioè quell'elemento che il protagonista non può controllare perchè non dipende da lui - scendono da lui (fino al suo livello terreno) e la sua azione è solo quella di salire, di riconoscere cioè l’Asse del Mondo, l’Albero della Vita (tutti simboli analoghi a quello della torre, come anche la scala e la montagna) che collega i diversi piani di realtà e li rende accessibili, e salirvi.
​

Solo l’iniziato può in primo luogo “vedere” questo varco e poi accedervi, se è in possesso del codice di accesso, la password, unica per ciascuno, che consente l’apertura di quella “porta” verso l’alto.
Dunque la porta per arrivare in quella dimensione non può essere una porta qualunque, cioè un fattore esterno, dato che nella torre la porta non c’è : simbolo del fatto che la porta si trova solo dentro di noi , in concordanza con il versetto evangelico che dice “Il regno dei Cieli è dentro di voi” (Luca 17.21), laddove per “cieli”, secondo l’accezione latina di Caelum, si intendono i mondi “nascosti”, per l’appunto “celati” e sottili, i diversi piani di realtà che possono essere psichici (cioè metafisici, intermedi) o spirituali.

Intervista con l'autore
di Zurlo Zurlì -de "La voce del Kalahari"
Z.Z.: "Eccoci qui con il noto Simon Smeraldo, autore de "Un calamaro impazzito di gelosia"
S.S. : "No, guardi che il titolo è Come un mollusco agitato dal vento"
Z.Z.: "E' uguale. Dunque, signor Smeraldo, come ci si sente ad essere autori di successo?"
R. – “Non saprei. Non sono un autore di successo”
D. – “Sempre modesto! Come se venticinquemila copie vendute in meno di due settimane fossero niente!”
R. – “Cosa ? Venticinquemila copie ? Ma allora l’editore mi ha fregato! AIUTO, POLIZIA!”
D: - “Oh oho, simpatico! Lo sa che per queste cose ci sono gli avvocati!”
R: - “AIUTO, AVVOCATI!”
D: - “Mi scusi, ma vorrebbe almeno dedicarmi qualche minuto? Poi si rivolgerà ai suoi avvocati.”
R. – “Io non posseggo avvocati. Ma mi dica pure”
D. – “Ci vuol accennare alla trama del suo libro?”
R. – “Trama? Oh, sì! Certo….dunque….mi faccia fare mente locale…..ehm….ma mi dica: cos’è una trama?”
D. – “Oh oh oh, davvero spiritoso! Via, almeno due parole sullo svolgimento dell’azione”
R. - “Eh, caro mio, come se fosse una cosa da niente fare uno svolgimento. Io per esempio a scuola, quando c’era da fare uno svolgimento, andavo in crisi. Non ho mai capito cos’è.”
D. – (l’intervistatore strabuzza gli occhi)“Ma insomma, signor Smeraldo, il libro l’ha scritto lei, dopo tutto!”
R. – “Io? No, io non c’entro niente con questa storia! Non prendetevela con me!”
D. - “Vorrebbe forse dirci che non l’hai scritto lei, questo capolavoro di umorismo, con un titolo così azzeccato?”
R. - “Sì e no. Vede…non so se devo fidarmi…”
D - “ Ma ci mancherebbe! Si fidi, si fidi!”
R – “Bene. E’ stato Napoleone.”
D. (comincia a preoccuparsi) – “Ah, capisco” (estremamente a disagio) “E…ci vuol dire come è andata esattamente?”(fa un cenno all’assistente)
R. – “Dunque, io glie lo avevo detto alla medium - una signora tanto per bene, sa?- Guarda, non farmi apparire un personaggio storico, che io qui ho bisogno di un letterato, per scrivere questo dannato libro – che non so proprio quale idea mi abbia preso di scrivere un libro, mannaggia a me – e lei mi ha detto , fidati. Così io mi sono fidato. Ma non sapevo che la signora era reduce dall’ospedale per una commozione cerebrale. Insomma, com’è, come non è, per farla breve, non mi ha fatto apparire lo spirito di Napoleone? Io a questo punto non volevo neanche pagarla, ma lei mi fa , la prego, ho delle bollette urgenti da pagare, e io allora, vabbè, vediamo cosa ci salta fuori. Intanto lui era lì con quello sguardo sdegnoso, un vero presuntuoso, creda a me. La medium gli ha detto: imperatore, maestà, eccellenza, lei può scrivere un libro per questo disgraziato? Lui ha alzato un sopracciglio e poi ha detto, con una supponenza che non so come non l’ho preso a schiaffi: ‘C’è forse qualcosa che io non so fare?’ Allora lei si è fregata le mani tutta soddisfatta e mi ha guatato di sottecchi come a dirmi: “vedi? I soldi me li sono guadagnati!’ . Calma, ho detto, un attimo solo: qui c’è ancora da decidere quello che c’è da scrivere, prima di scucire la grana. Lei cosa ne dice, imperatore? ‘Allora’ dice lui , potrei dettare le mie memorie….un bell’inedito di guerra e pace…oddio, più guerra che pace, veramente. Ecco, ho trovato! Il titolo potrebbe essere: Pace e guerra, così non avremo problemi coi diritti d’autore di Tolstoi! Io e la medium ci guardiamo in faccia, e le dico: ‘Non ha un personaggio di riserva?’ Guardi, mi fa lei, sono un po’ giù energeticamente. Già mi sono spremuta abbastanza per far venire questo pezzo grosso: si dovrà accontentare di quello che vien fuori. Non so che dirle. Pagare, mi deve pagare, perché io il servizio l’ho fatto. Insomma, salta fuori che questo Napoleone un po’ di sale in zucca ce l’aveva: a forza di raccontare barzellette sporche e battutacce su Talleyrand, è venuto fuori quel che potete leggere, nero su bianco. Ma cosa state facendo? (rivolto ai due infermieri che lo sollevano di peso e se lo portano via) “AIUTO, AVVOCATI, POLIZIA, POMPIERI, ENPA! Aiuto, ente consumatori, assistenti per i diritti degli autori seminfermi di mente, AIUTOOOO!” (il grido si perde in lontananza, mentre lo caricano sull’ambulanza e via di gran carriera).
Zurlo Zurlì: “E così, cari telespettatori, da Atlantide è tutto” (l’ambulanza torna indietro, scendono due infermieri e caricano pure lui).
Simon Smeraldo,
presso istituto psichiatrico “La bella Gigogin”, Grottammare di Cuneo

Recensioni letterarie
L'angelo della finestra d'occidente
di Gustav Meyrink
Ecco l'altro capolavoro di Meyrink dopo "Il golem".
Libro di non facilissima lettura,strutturalmente complesso e articolato, che però doviziosamente dispensa illuminanti vedute,e apre orizzonti su un sapere preziosissimo, in un'atmosfera impregnata di alchimia dell'anima.
La storia si svolge su due piani temporali, quello contemporaneo (cioè di Meyrink-inizio novecento) e quello dell'epoca elisabettiana: perchè lo scrivente, il protagonista della storia, ritrova fra vecchie scartoffie in soffitta il diario nientemeno di John Dee, il mago-astrologo della corte di Elisabetta I, con la quale (è storia) aveva un rapporto privilegiato di assoluta fiducia, e che lui scopre essere un suo antenato.
Le varie vicissitudini di Dee, come presentate nel suo diario, spesso drammatiche, collimano in parallelo - con le dovute variazioni - con quelle del protagonista, a cui lo lega un filo al di là del tempo e dello spazio, e ci conducono in una vicenda in cui ci appende praticamente ad ogni parola, perchè ogni pagina del romanzo è densissima di significati, messaggi,opportunità dell'anima di far sue verità determinanti.
Possiamo paragonare il libro a un labirinto: il passato consente al protagonista di uscire dal suo nel presente, e il finale, come nel "Golem" è sorprendente e meraviglioso a un tempo, e allarga il cuore.
Una storia che fa bene al lettore e lo lascia con un senso di arricchimento profondo, di nutrimento spirituale, di sfida a se stesso per andare oltre quei confini umani che Meyrink scavalca con tanto fascino e naturalezza.
Esiste il tempo?
La fisica moderna postula l’esistenza di un regno dell’essere privo di tempo e di spazio; contrariamente l’esistenza risulterebbe in gran parte poco sensata e scollegata dalla realtà come noi la percepiamo.
Molti antichi testi, soprattutto nei Veda, scritture sacre indù, ci dicono che il tempo e lo spazio sono prodotti della mente e non esistono indipendentemente da essa. Sorprendentemente, i principi della fisica quantistica affermano la stessa cosa. Questa è una chiave straordinaria: il trucco per uscire dai confini dello spazio e del tempo sta dunque nell’andare al di là della loro sorgente, la mente stessa.
Dunque per sospendere tempo e spazio, con tutti gli inconvenienti e le limitazioni che essi implicano, bisogna trovare un modo per sgusciare dietro l’angolo, per sbirciare al di sotto dello schermo dove è proiettato il nostro solito film della realtà.
Il tempo non possiede soltanto una quantità, ma anche una qualità: oggi però quasi nessuno riesce a farsi un’idea seppur vaga della qualità del tempo. Nei tempi passati avveniva esattamente l’opposto: allora si considerava in prima istanza la qualità del tempo e si trascurava piuttosto la sua quantità. La qualità del tempo non ha niente a che vedere con la sua durata, ma afferma che ogni punto del tempo, o sezione del tempo (può essere un’ora, un secondo o un decennio) possiede una determinata qualità, che consente che emergano solo quei fatti che sono adeguati a questa qualità. Espresso in altri termini, questo significa che in quel determinato momento possono realizzarsi soltanto quei fatti i cui contenuti qualitativi corrispondono alla rispettiva qualità del tempo. Il tempo deve quindi schiudersi a una latenza, affinchè questa latenza possa entrare nella realtà e manifestarsi: dato che anche il tempo è soltanto un piano della realtà, così le qualità del tempo non sono altro che corrispondenze dei principi primi su questo piano.
A livello quantistico la realtà è costituita da campi di energia interagenti che sono privi di tempo e di spazio: come si può ben vedere, la realtà non è quel fenomeno dai contorni ben definiti che noi presumiamo. In effetti è molto simile a un sogno.
Sono in effetti i campi elettromagnetici ad alimentare la realtà; e i campi elettromagnetici non sono oggetti materiali, ma una forma d’onda e di energia. Hanno massa ed energia infinite e nessuna dimensione “reale” concreta. E per loro il tempo non esiste. Ciò fa apparire i campi di energia quasi divini, essendo essi la realtà senza tempo e senza spazio che è alla base di ogni cosa. Gli scienziati perciò congetturano che la coscienza, quella cosa che trasforma gli esseri inanimati nella misteriosa forza vitale che nessuno ancora capisce, possa essere a sua volta qualche genere di campo di energia sconosciuto.
In tal caso, ciò conferma le idee mistiche secondo cui la nostra coscienza deve esistere in un mondo senza tempo e senza spazio, e soltanto il nostro corpo materiale è costretto nell’illusione permanente che il tempo scorra in modo lineare. La realtà al cuore di tutte le cose è più esattamente immateriale, e per di più priva di tempo e di spazio.
Al di fuori degli spazi e delle dimensioni materiali il concetto di scorrimento del tempo non ha ragione d’essere, e altri sono i suoi meccanismi di funzionamento, indagati i quali si può comprendere la sua vera natura.
La coscienza è il mezzo con cui la probabilità si trasforma in realtà; quindi, in un certo senso, qualcosa di chiaramente tangibile viene creato da ciò che è una stretta approssimazione del nulla.
Ma come fa la realtà ad emergere dall’assenza di tempo subatomica? Abbiamo già visto che la risposta che appare plausibile (e cioè che la coscienza fa apparire la realtà) è troppo vicina al misticismo per la maggior parte degli scienziati. C’è quindi una variabile “nascosta”: qualcosa, di ancora ignoto (volutamente ignoto alla scienza, che si ostina a non considerare reali i fenomeni che non riesce a classificare in base all’osservazione della struttura fisica del mondo) mette in atto la realtà a partire da tutte le probabilità statistiche che determinano azione e reazione.
Può darsi dunque che il tempo non abbia alcuna consistenza reale? Sembrerebbe così, stando alle più recenti posizioni di molti fisici e studiosi di quantistica: secondo loro il tempo è una realtà fluida che varia a seconda del nostro stato di coscienza, e che sembra avere andamenti molto diversi, e non la “velocità” tradizionale di un secondo ogni secondo. Ci sono infatti momenti in cui sembra che il tempo non passi mai, e altri in cui sembra volare. La natura inconsistente del tempo è facile da riconoscersi: basta domandarsi quanto duri l’”adesso”. Ma noi non abbiamo ancora la scienza per misurare qualcosa di tanto piccolo come l’adesso.
Infatti, se il passato semplicemente si fonde col futuro e non vi è alcun periodo o intervallo fra i due, allora qual è la distinzione fra passato e futuro? In realtà, vi è davvero una distinzione? Oppure l’uno sfocia tranquillamente nell’altro ed entrambi sono soltanto termini che noi usiamo per descrivere parti diverse di un tutto simultaneo? Il nostro concetto di tempo è una convenzione che si accorda con l’illusione di passato e futuro da noi percepita? Improvvisamente la nostra visione ordinata del tempo che si sposta uniformemente in avanti è in crisi.”
Jenny Randles

Canto pagano di chi viaggia verso sè
Ascoltatemi o spiriti
fluttuanti nel vento,
essenze immortali
che da sempre abitate
nelle pieghe nascoste
dell’immemore tempo;
signori dell’aria,
dell’ acqua e del fuoco,
della terra antenati,
eterni padroni
di un incolmabile spazio.
Oso invocare,
invocare voi tutti
ed a voi presentarmi
per compiere il passo
a cui mi preparo
nel cielo sereno
di una notte d’estate,
​

ritmata dal canto
mormorato dai grilli,
umore stillante
rugiada sul muschio;
stremato nel corpo
ma con animo grato
sfidando il destino
che implacabile avvolge
attorno alle membra
un non visto mantello…
da vincente o da vinto
io questo non so.
Voglio esser però
da voi ricordato
per colui che ha provato
a parlare con voi,
e voi anche ascoltare;
Soror Mystica
Ad ogni buca della strada –e ce n’erano tante – il trabiccolo sobbalzava paurosamente, come se con un solo salto volesse congiungersi ai suoi simili nel paradiso delle automobili (ma esiste?) per poi ricadere pesantemente sull’asfalto, d’improvviso memore di non essere un velivolo. I gemiti degli ammortizzatori ad ogni scossone ricordavano alla persona al volante che l’uscita dell’auto dalla fabbrica era un ricordo ormai lontano e sperso nella nebbia dei tempi. Spericolata però era la guida di Marjia: dove andava così spedita? Da come conduceva l’auto semi-millenaria si sarebbe detto all’altro capo dell’universo, all’appuntamento con il suo alter ego che le veniva incontro facendo il giro nel senso opposto.
Su certe cose non si scherza, disse fra sé, frastornata da quell’inquietante pensiero che risuonava degli echi di una fisica visionaria di stampo einsteniano.
La verità era molto più prosaica ancorchè poetica al tempo stesso: lei si recava in tutta fretta dal suo amante, Mikhail, prima che lui si imbarcasse, per dissuaderlo dall’impresa pericolosa che si era prefissato di compiere, spinto da una latente vocazione eroica o forse solo temeraria, chissà.
La vettura si arrampicò ansimante sugli stretti tornanti che puntavano in alto, sempre più in alto e arrivò infine, con un sospiro di sollievo, al cottage in legno arroccato sull’altura che dominava la vasta pianura con la striscia azzurra del mare sullo sfondo: il porto, da lassù piccolissimo, si intuiva brulicante di attività, di commerci, di improperi, di gente ansiosa e astiosa al contempo. Lei, scendendo dalla macchina, vi gettò uno sguardo risentito, come se fosse un mostro che avrebbe di lì a poco divorato il suo amore.
Lui la aspettava sulla soglia, pacato e sorridente come sempre, con quel suo perenne sguardo di ragazzo negli occhi, che aveva ancora tante meraviglie da scoprire. Senza parlare la avvolse stretta in un abbraccio che la fece sentire come se fosse rintanata al caldo tepore del rifugio che accoglie l’orso al letargo: quelle braccia, indubbiamente, erano casa sua, se ne rendeva conto sempre più, con gioia e rammarico insieme. La gioia di aver trovato il proprio posto nell’universo, il segreto dolore di sapere che lui era come il vento, e forse mai lei lo avrebbe cavalcato in piena sicurezza, sapendo dove la portava.
Le labbra si incontrarono e bevvero le une dalle altre come se non si fossero mai nemmeno sfiorate: era sempre così con lui, il brivido sempre rinnovato di un sentimento che scavalcava abitudine e banalità, i sentimentalismi stucchevoli come le passioni selvagge, ma che si alimentava di un fuoco segreto che pareva inesauribile, e sempre vivo, sempre brioso, caldo al punto giusto.
Entrati nello chalet, lui non le dette tempo di proferire parola; sempre baciandola, iniziò a spogliarla lentamente, carezzando dolcemente ogni centimetro di pelle del suo corpo man mano che la scopriva.
Quando lui la penetrò, le sembrò come la prima volta: una meraviglia di piacere, di stupore, di ritrovamento di sé e dell’altro, nel tutt’uno di un’estasi che mai aveva conosciuto prima di lui. Dopo, con il capo dolcemente reclinato sul petto di lui, sgorgarono infine da lei le parole, ruscello tranquillo che solca la pianura stellata e raccoglie le fragranze dei campi al passaggio; e si ritrova più saggio e ricco al suo confluire nel fiume.
E scese la magia su quelle parole, sui loro volti trasfigurati, sul loro corpo e sulla mente trasognata dai ritmi dell’amore. Lontano si spersero gli occhi che scrutavano da dentro, presi dal vortice impalpabile dell’arcano più antico del mondo, il legame tra un uomo e una donna: sacra vertigine di un essere mai scisso in due. Si ritrovarono così in quell’attimo senza passato né futuro, sapendo bene però che il loro passato durava da un’eternità, il loro futuro si proiettava verso mondi ancora da esistere, e il loro presente si dilatava oltre le soglie dell’infinito.
Mikhail non partì quel giorno. Non partì mai più. Il suo viaggio era tutto fra le braccia di lei.
apprendendo così
la poca o molta saggezza
che chiedere è lecito
ad un sorso di acqua
di una gelida fonte,
al notturno falò
che riscalda gli amici,
al pianto solenne
di un bimbo lontano
che accende nel buio
la pianura di suoni
che non riconosce;
ma che grata essa accetta,
come il passo straniero
dell’audace viandante
che sacra la rende
con l’amor del suo andare.

Soror mystica
Dove sei
tu che sei la mia casa,
la mia unica casa?
Dov’è la promessa
del tuo mare al mio fiume?
La mia nave
solca le acque
ma il tuo porto è lontano.
La mia anima
grida al vento,
ma il deserto
risponde col silenzio.
Cerco il lume
alla finestra
per fendere il buio,
ma il davanzale è vuoto,
e il calore del giaciglio
dal tuo corpo acceso
più non mi appartiene.
Oh, accoglimi, madre
Apri la porta, sorella
Alza una voce, amica
Fammi da specchio, Amore
guidami al luogo certo
del mio vivere
tu sola hai la voce,
tu sola hai la chiave,
tu sola hai il mio cielo.
Perché tu sei i miei occhi,
e perché tu sei il mio cuore.
Galleria delle immagini più significative della storia




"Eh, caro Aristotele, la classe non è acqua! Parola di Platone!




"Che me lo da 'n passaggio alla clinica ginecologica? Guendalina deve fare
lo screening ormonale, sta aspettando un uovo"


Gran brutta cosa, l'artrite!


"Oddio! Ho lasciato il gas aperto!"
"Io je l' avevo detto, ar fantasma der nonno:
nun stà fori de notte che poi te congeli!".


Rassegna stampa di oggi, 12 Settembre 2022



Vediamo in primo luogo le notizie principali:
"Cacciatore spara a stormo di tordi e uccide uomo volante" - da L'alpino intrepido, Casoria (NA)
"W.C. intasato nel centro di New York trabocca e sparge 18.000 Km cubici di escrementi bloccando il traffico di Manhattan" - da The voice of Murmansk, circolo polare artico
​
"Il presidente francese Macron si è qualificato secondo nel torneo internazionale di bocce di Parigi, vinto a mani basse da Barbara D'Urso" - da Le coiffeur pur hommes Figaro, Paris (Francia)
​
"Biden cade da cavallo, dal triciclo e dal divano di casa. In un secondo momento cade dal letto, dallo sgabello del pianoforte e dal quarto piano della Casa Bianca. E' incolume" - da The observer of sfigated people, Barletta, New Jersey
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"Al Bano, in uno dei suoi famosi tour di concerti nella giungla africana, è stato attaccato da un coccodrillo. Lo ha messo in fuga cantandogli "Felicità". da L'informazione congolese, Brazzaville, da qualche parte in Africa
​
"Berlino: il cane Maxwell, un mastino napoletano di tre anni, è stato morso a sangue dal suo proprietario, il Dott. Helmut Fangardhavenstrasse, di anni 99. Maxwell ha commentato così l'episodio: "E' molto strano, il dottor Fangardhavenstrasse non ha mai mostrato segni di aggressività ed è sempre stato docile soprattutto coi bambini. Sono stupito".Ad ogni buon conto le autorità, prontamente intervenute, hanno sedato il dottore in attesa di sopprimerlo. Naturalmente a Maxwell è stata somministrata la prima dose di antirabbica." da Der Berliner Cavolaten, Berlino.
​
Ed ora esaminiamo i dispacci d'agenzia per quanto riguarda le notizie secondarie:
"Il Papa, irritato da un commento negativo del cardinale segretario di stato, gli ha sparato a bruciapelo uccidendolo all'istante. Processato per direttissima, è stato assolto per insufficienza di prove" da L'osservatore romagnolo, Brisighella (RA)
​
"Putin invade la Cina. Sette milioni di morti il primo giorno di scontri. Il presidente cinese ha commentato: "Vediamo chi finisce per primo i soldati" da Hua kong Fu Giacomo, Canton (Rep. Pop. Cinese)
​
"Un Terremoto di 11.9 gradi della scala Mercalli ha devastato l'Alaska. Tutti i 19 abitanti dello stato americano sono morti per complicazioni causate da Covid-19." da Cronache eschimesi, Babbo Natale's town, Alaska.
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"Taddeo Musumeci oggi compie 47 anni. Auguri di cuore" da Lo scarabeo dirimpettaio, Pietraperzia (EN)
E per oggi è tutto, grazie per l'ascolto.
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ULTIMISSIME FLASH!
Le più importanti organizzazioni mondiali, fra cui l'OMS, la FAO, l'Unicef, il WWF e la TAC (Tira A Campà) unitamente ad altre prestigiose e influenti associazioni mondiali, come il circolo del golf di Punta Ala, la Società Bocciofila di Carate Brianza e la Segreteria di Cosa Nostra, hanno emesso una fondamentale dichiarazione congiunta di intenti, vincolante per tutti gli stati aderenti alla convezione di Campobello di Mazara, sottolineando che d'ora in avanti le guerre dovranno avere obbligatoriamente una data di scadenza. Il documento congiunto, se non adottato dai paesi membri, comporterà automaticamente l'esclusione dai mondiali di Cricket e l'invio immediato di Barbara D'Urso al paese trasgressore. La dichiarazione di guerra dovrà essere redatta in linguaggio chiaro e leggibile (niente frasi dialettali) in formato PDF, e su foglio A4, e stampata su carta da bollo da 20.000 euro. Non sono ammessi insulti e contumelie di qualsiasi natura, non solo a sfondo sessuale. In tal guisa una qualsiasi futura eventuale dichiarazione di guerra dovrà leggersi così (Modulo fac-simile):
"Caro presidente XX del noto paese XY, ho il piacere di annunciarle che, per via della vostra schifosa ricchezza di materie prime e della vostra odiosa politica di espansione commerciale a danno dei nostri onesti pescatori di perle, le dichiaro guerra a nome del mio popolo oppresso e sventurato. La guerra che testè le dichiaro scadrà il ...(indicare data con anno, mese, giorno e ora), data di scadenza che potrà facilmente essere controllata in quanto riportata in maniera chiara sui cannoni dei nostri carri armati, sulle punte delle nostre testate nucleari e sugli oblò dei nostri sottomarini atomici. In riferimento a quanto sopra, i nostri bombardamenti sulla vostra città X inizieranno da domani alle ore xy. In attesa di un suo gentile riscontro, mi congedo da lei con i migliori auguri e l'espressione dalla mia più sentita cordialità. Rimango sempre suo devoto
Presidente WW di (inserire nome nazione)

Gattaca
I film che lasciano il segno
In un futuro non troppo lontano, non esiste più il concepimento naturale tramite il sesso diretto. O
meglio, nel momento in cui inizia il film si va affermando sempre più la selezione in provetta dei
geni più indicati sia per la sopravvivenza che per il successo nella vita, anche se alcuni ancora
praticano il metodo tradizionale, ed è così che viene concepito il protagonista del film. Dopo meno
di trent’anni, coloro che sono stati concepiti in modo “naturale” sono diventati cittadini di serie B, e
non possono accedere a carriere prestigiose, ma possono dedicarsi solo ai lavori più umili,
manuali e meno gratificanti, perché il loro “status” è scritto nel DNA e leggibile attraverso lettori che
scannerizzano il palmo della mano: perciò vengono ghettizzati nel mondo lavorativo e legalmente
registrati come “inferiori”.
Il protagonista ha un fratello minore nato in provetta a differenza di lui: questo fratello è più alto, più
prestante e destinato a un futuro brillante: ma quando i due, adolescenti, si sfidano a una gara di
nuoto col mare agitato, è il fratello naturale che vince e anzi salva il fratello che stava annegando.
La vicenda poi si snoda attraverso la conquista illegale di un’altra identità per il protagonista, che
trova impiego in un’agenzia spaziale ed è selezionato per un viaggio su Marte. Ma in seguito a un
omicidio nell’azienda si trova un suo capello e l’investigazione, condotta dal fratello minore, che
ora è ufficiale di polizia, porta di nuovo a un confronto i due. Di nuovo c’è la sfida in mare ,e di
nuovo vince il “naturale”, di nuovo salvando il fratello. Infine il protagonista riesce a farsi mandare
su Marte, che era il suo sogno.
Un inno alla determinazione di riuscire ad ogni costo, anche quando tutto sembra essere contro di
noi: quando si gioca il tutto per tutto è lì che la fortuna arride agli audaci. Non sono i talenti o le doti
fisiche che portano al successo, ma la disperata volontà di essere più forti di un destino in cui era
già scritta la nostra sconfitta o meglio la nostra appartenenza ai “perdenti”.